Inattualità della Psicoanalisi. L’analista e i nuovi domandanti (Franco Lolli, Poiesis Editrice, 208 pagine, 18 €) è un testo scomodo; lo è perché non vuole produrre consenso, né stabilire una dottrina definitiva, tracciando solchi e differenze identitarie. L’apporto programmatico che Franco Lolli espone si riassume nell’ultimo capoverso dello scritto, in cui si mette in luce la solitudine dello psicoanalista: non già esclusione dalla comunità di pari (la quale, al contrario, resta un riferimento etico e tecnico indispensabile), ma differenza feconda, che obbliga chi si pone in quella posizione a non aderire ai prodotti e ai discorsi che caratterizzano il sistema ideologico egemone. La psicoanalisi è scienza – potremmo dire – proprio perché capace di muovere una critica contro le pigrizie teoriche e i moralismi del buon senso e delle facili identificazioni.
Il libro di Franco Lolli è, soprattutto, un apporto teorico indispensabile, che permette di affrontare questioni ineludibili per chi esercita la psicoanalisi. Per comprenderne la portata, suggerisco di prendere le mosse da un tema in particolare, quello del rapporto tra l’invarianza della struttura e la plasticità dei fenomeni che animano il sociale. L’autore afferma che “occorre ribadire che l’immutabilità del soggetto va riferita esclusivamente al suo rapporto costitutivo con il linguaggio” (p. 19), cassando ogni possibile dubbio o scivolamento su un campo che non appartiene all’ambito psicoanalitico, quello cioè della registrazione, catalogazione e descrizione dei fenomeni sociali e culturali generati in un dato periodo storico.
Si tratta, in effetti, di una questione capitale, perché dirimere il rapporto tra struttura e fenomeno determina conseguenze e implicazioni decisive rispetto all’idea stessa di soggetto dell’inconscio, con importanti esiti sulla conduzione della cura. Per specificare meglio, si potrebbe dire che Lolli vede nelle teorie dell’evaporazione del padre e della relativa (presunta) instaurazione di una nuova “economia psichica”, la rimozione della dimensione strutturale dell’inconscio e del significante. Ciò che è necessario problematizzare sarà allora la linearità attraverso cui alcune teorie di ambito psicoanalitico pongono in relazione non-mediata, lineare, socius e inconscio, storicizzando in maniera radicale il nucleo logico-formale che governa la genesi e lo sviluppo del soggetto dell’inconscio. Si potrebbe dire che la differenza tra la logica psicoanalitica e qualsiasi altro apparato di conoscenze applicate alla clinica passa per il rapporto tra struttura e fenomeni; è dentro questo rapporto che si gioca la specificità del metodo e della versione della soggettività che la stessa psicoanalisi può fornire. Molta parte della riflessione psicoanalitica più recente si concentra infatti sulle presunte metamorfosi dell’individuo contemporaneo, in relazione ai cambiamenti sociali, culturali e materiali. Queste proposte teoriche assimilano le metamorfosi del soggetto contemporaneo a “fatti” e modificazioni dell’assetto sociale in cui l’individuo stesso è immerso, mutando così l’assetto epistemologico e di ricerca psicoanalitico in una sorta di sociologismo.
A tal proposito, è con estrema puntualità che Franco Lolli annota una distinzione centrale perché la teoria e la clinica psicoanalitica restino ancorate al proprio patrimonio culturale (pur producendo le rettifiche “tecniche” necessarie ad incontrare i “nuovi domandanti”, delineate nell’ultimo capitolo del testo: più che l’evaporazione del padre, ciò che conduce ad osservare nuove forme della domanda è l’incisività del discorso del capitalista sui fenomeni sociali e non, come ovvio, direttamente sulle strutture soggettive); è un errore, infatti, sovrapporre la debolezza del sistema simbolico nella contemporaneità con il declino dell’istituzione paterna (la quale, d’altra parte, Lolli fa notare essere troppo spesso confusa con il regime patriarcale). A parere di chi scrive, ciò rappresenta un grave scivolamento e una cattiva interpretazione del testo freudiano e laciniato (1), attraverso i quali è invece opportuno distinguere la funzione strutturale, logica e formale dell’assetto significante dai supporti immaginari in cui si incarna quella funzione. Lacan, nel Seminario XVII definisce e chiarisce la questione ricorrendo al rapporto tra Padre reale e castrazione simbolica. In quelle pagine, è molto netta la presa di posizione: il Padre reale non è identificabile se non nell’operazione strutturale che il significante compie “in rapporto con il sesso” (2) . La castrazione, la Urverdrängung che rimuove il sesso, è frutto di un operatore logico universale, che trova poi supporto immaginario nelle figure che il contesto sociale può offrire, con le loro connotazioni culturali e materiali specifiche.
Il soggetto, dunque, è il prodotto a-posteriori dell’opera strutturale, puramente logica, di taglio significante e non l’effetto delle metamorfosi che agitano il socius e investono l’individuo: queste ultime, ovviamente, rappresentano un elemento importante nella definizione del legame sociale, ma devono essere interpretate come fenomeni che rivestono l’assetto pulsionale che il soggetto dell’inconscio è. Non riconoscere questa differenza significa sfumare la portata della proposta psicoanalitica nella eterogenea moltitudine di approcci psicoterapici, i quali confondono “il piano del reale e il piano della realtà, il trauma del sessuale e il trauma occasionale, la necessità strutturale del trauma e la sua contingenza storica” (p.182). Aggiungerei che la psicoanalisi che si preoccupa di distinguere la dimensione logico-formale dell’operazione significante sulla struttura dai fenomeni del socius apporta una seria critica alla linearità della causazione proposta dai paradigmi bio-psico-sociali (3): nella banalità di una siffatta proposta si intravede la stessa tendenza a stabilire dinamiche lineari di causa-effetto che la psicoanalisi non può far proprie (ed è per questo che ad un tale causalismo ingenuo deve essere opposta la causalità psichica a cui ci introduce il concetto di oggetto a).
La “nuova economia psichica” è dunque una proposta che sopravvaluta l’incidenza dei fenomeni socio-culturali sulla strutturazione del soggetto e del sintomo, contro i quali Lolli fa opportunamente ritorno al nocciolo indissolubile della teoria psicoanalitica: il sintomo è il prodotto della rinuncia pulsionale e quest’ultima è un dato di struttura, tutto interno al sistema significante, che si declina nelle forme (potenzialmente in continuo divenire) che il sociale assume in relazione alla dialettica della storia.
Ciò che il volume di Lolli invita ad indagare non è dunque l’esistenza di nuovi soggetti dal punto di vista delle strutture, quanto piuttosto l’incisività del discorso del capitalista sulle modalità di formulazione della domanda e il raddoppiamento di tale influenza sulla proposta analitica stessa, che quando è oggetto di derive immaginarie rischia di porsi nella serie degli oggetti prodotti dall’economia di mercato e dall’ideologia liberal-democratica. Lungi dall’essere l’operatore di un godimento senza limiti, il discorso del capitalista viene interrogato dall’autore nella sua complessità, descrivendo un apparente paradosso: da una parte, esso enuncia l’ingiunzione super-egoica al godimento pieno, alla ricerca della felicità provocata dal consumo, alla ripetizione del tentativo di reperimento di oggetti che colmerebbero il vuoto che anima l’essere parlante; dall’altra, gli sviluppi dello stesso assetto ideologico e di discorso radicalizzano gli effetti della barra che scinde il soggetto, ponendo quest’ultimo nella condizione angosciante e depressiva di non poter aderire completamente a quella ingiunzione. Il flusso ininterrotto di oggetti, prodotti del sistema del libero mercato, frammenta l’individuo in una tensione inconciliabile tra la replica incessante di una ricerca che promette di cancellare la scissione costitutiva del soggetto dell’inconscio e l’impossibilità di cogliere definitivamente tale oggetto. È evidente quanto una analisi del genere si differenzi da quelle – talvolta semplicistiche – che vedono nell’assetto materiale, antropologico e psicologico connesso al capitalismo una macchina che disinibisce le strutture di contenimento del godimento, divenendo quest’ultimo il fattore eziopatogenetico a monte delle “nuove forme del sintomo”.
Il volume pone, a partire dalle questioni precedentemente discusse, una serie di problemi e sollecitazioni che devono interessare l’analista; ad esempio, è necessario interrogare la teoria e la pratica clinica intorno al tema delle “nuove” domande, che spesso non sono assimilabili ad una classica domanda di analisi. Quanto deve divenire elastica la tecnica analitica, quanto deve rinunciare alle proprie peculiarità costituenti, al fine di incontrare e concedere un luogo di elaborazione a forme di sintomo e soggetti altrimenti molto differenti da quelli che chiedevano una psicoanalisi solo fino a qualche decennio fa? Aggiungerei, a proposito, che una questione del genere deve inaugurare una discussione teorica rigorosa riguardante la diagnosi: quanto è opportuno accogliere le suggestioni relative a presunte nuove strutture soggettive pensando, ad esempio, in termini psichiatrici, al fenomeno borderline, o, restando nel campo psicoanalitico, a quello delle psicosi ordinarie? Il tema delle invariabili psicoanalitiche, della struttura logico-formale che è a monte del processo di costituzione dell’essere parlante e del sintomo deve essere introdotto in questo dibattito, soprattutto nel rapporto che esso intrattiene con l’invadenza di fenomeni sociali che la psicoanalisi rischia semplicemente di registrare e descrivere, qualora rinunciasse al proprio apparato teorico. L’inattualità produttiva della psicoanalisi è anche questa: tener fermo lo statuto della propria conoscenza, i concetti che rendono conto dei dispositivi immutabili (la costituzione della soggettività intorno agli operatori universali come la pulsione, il complesso di castrazione, l’operazione di taglio significante, la produzione dell’oggetto a, ecc.), indagando l’interazione tra quest’area e le dinamiche che intaccano le forme empiriche del legame sociale. L’inattualità feconda è dunque quella che si schiera contro le proposte che forniscono interpretazioni per ogni fenomeno sociale, facendo mostra di un sapere non bucato e che, infine, degradano la teoria psicoanalitica a insieme di classi descrittive. Non si tratta, mi pare, di discussione astratta: la serietà e la fermezza nell’affrontare questa e altre sollecitazioni che provengono dalla clinica determinerà le possibilità di orientare la cura mantenendo una postura psicoanalitica o, al contrario, di liquidare la differenza psicoanalitica, lasciando che essa sbiadisca nelle categorie e nelle pratiche interne alla psicoterapia.
Ancora, Franco Lolli interroga la comunità di analisti intorno ai rischi, alle derive che può assumere la disciplina, qualora dovesse incontrare e far propri i metodi e le posizioni già sperimentati da molta parte della psicologia, nella “sua versione esplicativa, pedagogica e prescrittiva”, in quanto cioè “disciplina capace di dare senso alle esperienze più disparate dell’essere umano” (p.47). In questo richiamo, emergono con potenza due questioni: la prima riguarda il rischio di essere operatori di una suggestione (individuale e di massa), quando si produce un sapere stereotipato, prêt-à-porter, totalizzante, nella misura in cui cerca di tappare il vuoto che costituisce il campo dell’umano. La seconda, strettamente connessa all’altra, definisce i limiti che la psicoanalisi deve poter incarnare al fine di non divenire una ermeneutica assoluta, un’arte delle corrispondenze semantiche, il cui agente sarebbe un soggetto-supposto-sapere portatore della chiave universale di traduzione del mistero dell’umano.
La psicoanalisi inattuale rilancia il desiderio dell’analista, lontano dalle sirene del riconoscimento sociale (immaginario), dall’aggancio al discorso del senso comune, dalle derive delle psicoterapie orientate da istanze quali l’empatia, la cognizione, il comportamento; il testo di Franco Lolli pone al centro, ancora una volta, ostinatamente, il discorso dell’Inconscio.
Note:
(1) Che ha, d’altra parte, illustri antenati: basti pensare al tentativo di Malinowski che nella sua ricerca sulla paternità nella psicologia primitiva (B. Malinowski, La paternità nella psicologia primitiva, Trieste, Asterios, 2017) tenta di smontare l’universalità del dispositivo edipico, confondendo il supporto immaginario della paternità con il suo funzionamento simbolico e, indirettamente e involontariamente, confermandone l’operatività logico-formale.
(2) J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII, Einaudi, Torino, 2001, p.159
(3) La genesi del soggetto è ricercata nel novero delle cause descritte da quella triade, ma ciò che rende tali paradigmi poco interessanti è proprio l’assenza di mediazione tra il soggetto stesso e le cause che, a monte, ne determinerebbero i modi: la biologia del cervello, la psicologia (emozioni, cognizioni, memoria, ecc.), il sociale.