Bocche di lupo

Ho fame e sete, sono stremata, ho bisogno di tutto e non ho nulla. Non posso parlare, non posso telefonare, pare che mi conoscano ma nessuno mi conosce. All’improvviso per l’imputata si spalancano le fauci delle bocche di lupo, le famigerate finestre dove il carcere affonda.

12,00

COD: ISBN 978-88-6278-000-1 Categoria:

Descrizione

Ho fame e sete, sono stremata, ho bisogno di tutto e non ho nulla. Non posso parlare, non posso telefonare, pare che mi conoscano ma nessuno mi conosce. All’improvviso per l’imputata si spalancano le fauci delle bocche di lupo, le famigerate finestre dove il carcere affonda. Un incubo, una beffa, un patibolo, una cascata di risate. Poche storie niente storie. Là dentro su tutto aleggia sovrana l’ombra fantasma del signor Dappertutto il grande orchestratore. Dappertutto facitore di miraculi. Così per la detenuta fra giudici, monache, carcerate, avvocatini, trascorrono quaranta giorni e quarantuno notti segnati in un racconto magmatico tra interrogativi, dubbi, incubi atroci su un amore o forse un transfert finito male: Perché lo amavo? Perché lo odiavo? Negli anni, gli ho detto tante cose e lui da giovane tanto ci godeva che gli si rizzava: ogni tanto lo sogno, ora mi blandisce, ora mi minaccia, ora mi maltratta. È lui o un altro? E tutte ugualmente disumanizzate, le esistenze carcerate sfilano come una Corte dei miracoli in questo racconto senza pietà ma senza rancore. Una solitudine quasi confidata, sussurrata quando cala il buio sulle inferriate delle bocche di lupo, quando ancor di più la sensazione del non esistere è intensa, insopportabile; insostituibile metafora di una solitudine che non è di oggi ma che oggi si fa sentire in tutta la sua efferatezza, in tutto il suo eccesso di dolore e di sarcasmo. Quando nulla può più far male, null’altro può infierire sulla vita mutilata, offesa dalla menzogna, solo una cosa meta-fisicamente può farle paura, che mi cada il cielo in testa, ciò nonostante il crimine contamina per questo siamo tutte uguali, tutte ugualmente macchiate. Questa la sconsolata conclusione cui giunge Giuliana Sangalli, psicanalista di vaglia e da oggi guizzante scrittrice di un racconto che riferisce, nel suo pasticciaccio oltre le sbarre, un altro pezzo di italico malore.