Contro l’etnopsichiatria

Di cosa soffre, realmente, un africano? Cosa lo angustia intimamente? E cosa succede a un cinese, a un sudamericano, a un ucraino? Il loro è un dolore simile a quel che può ossessionare un europeo o un nordamericano? È un malessere che risponde a una medesima disposizione soggettiva, che dipende da una comune causalità oppure no? Oppure… Quale rapporto insomma sussiste tra la forma in cui una patologia si manifesta, la sua supposta sostanza e, infine, il modo in cui un sintomo viene letto e ricondotto a un senso? È lecito ipotizzare che quanto in una data cultura si ritiene fonte di malessere, non lo sia in un’altra e viceversa?

18,00

COD: ISBN 978-88-6278-051-3 Categoria:

Descrizione

Elementi di critica psicoanalitica applicati all’intercultura di Angelo Villa e Fabio Tognassi. È estremamente fine la distinzione che questo lavoro rintraccia tra Etnopsichiatria e Psicoanalisi, motivo per cui gli autori si sono posizionati in maniera così decisa e scomoda “contro” l’Etnopsichiatria. Quali sono le escroquerie e gli inganni su cui loro sostengono si fondi? Molto dipende dalla prospettiva con la quale ci si accosta, sebbene l’approdo sia comunque simile: in nome di una presunta oggettività, l’Etnopsichiatria si sbarazza del soggetto, lacanianamente inteso, con pericolose derive, individuali e collettive. Narcisismo, esaltazione e fanatismo azzerano il riconoscimento dell’alterità, spingendo il singolo a cogliere nell’altro, anche culturale, un estraneo da “sradicare”.  Ponendo l’accento sul soggetto, la Psicoanalisi relativizza la questione della sua provenienza geografica: che sia di New York, Douala o La Paz poco importa. La figura dello straniero si liquefa e l’unico straniero con cui il soggetto in effetti si misura è il proprio inconscio. Non da sradicare ma a cui dare cittadinanza. Nell’atto stesso del suo prodursi, l’inconscio fa sì che il soggetto si scolli dal suo narcisistico io, per accostarsi con minore angoscia all’alterità e muoversi in modo più autonomo rispetto ai dettami culturali. Cos’altro può la cultura se non fare dietro-front, escogitando un modo di sostenersi che non favorisca il rafforzamento dell’io narcisistico del singolo? Ciò che a poco a poco emerge è una cultura capace di spezzare i suoi circoli viziosi, smussando le rigidità super-egoiche con cui esercita il suo potere e riflettendo virtuosamente su di sé, al punto di riorientarsi in senso etico e democratico. Una cultura, verrebbe da dire, che si “sublima” e che, così facendo, in qualche modo partecipa della civiltà senza, tuttavia, confondersi con essa. Valentina Vannetti