Il lettore di Baghdad
I dettagli che illuminano il contesto degli otto racconti in cui si snoda Il lettore di Baghdad di Jabbar Yassin Hussin hanno immediatamente su di noi un effetto ipnotico: “Ogni cosa era immersa nell’abituale silenzio della notte, ed io non avevo voglia di tornare a casa”.
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Descrizione
I dettagli che illuminano il contesto degli otto racconti in cui si snoda Il lettore di Baghdad di Jabbar Yassin Hussin hanno immediatamente su di noi un effetto ipnotico: “Ogni cosa era immersa nell’abituale silenzio della notte, ed io non avevo voglia di tornare a casa”. Tutto è precisamente reale e quindi irreale. La narrazione meticolosa del paesaggio notturno e di un uomo solo che lo percorre, ci introducono nello specchio del narratore, ci fanno fermare su ciascuno di quei passi per soppesarli da un punto di vista simbolico. L’immagine mostra la stessa scrittura e la scrittura pertanto diventa immediatamente per noi cifra interiore: di “visione”. Visione dei dolori, dei luoghi, della memoria dei vari personaggi, riconducibili infine a uno solo. In qualche maniera è la “visione” stessa di quei sentimenti che diventano racconto. L’effetto ottico, tutto interno, è eccezionale, e da questa ecceità al tempo stesso articolata e chiara nella sequenza si entra nello specchio simbolico della narrazione. Si rivela così passo passo la limpidezza di chi camminando segue lo spettro del suo animo. Qualcosa di molto vicino alle arditezze alla Buñuel. Un andare in avanti e indietro nel tempo e nello spazio. Fra Baghdad e Poitiers, nel luogo in cui è nato e la città in cui è. Rifrazione. Attraversamento. Dispersione. Ricordo. Oblio. I piani molteplici si riflettono, per restituire in un filo unico, tutta intera la soggettività del narratore. Così scopriamo che il bandolo per capire la macchina narrativa creata è la condizione dell’esilio: Jabbar Yassin Hussin, oggi il più importante poeta e narratore iracheno, tradotto in più lingue e conosciuto in tutto il mondo, è dovuto fuggire da Baghdad all’età di appena diciotto anni, per sfuggire alla persecuzione di Saddam Hussein, e quando è ritornato dopo ventisette anni, nel maggio del 2003, ha trovato un Paese occupato e devastato dalla guerra. Il fatto è che la vertigine dell’esilio toglie un altrove e non restituisce un “dove”: “riduce il mondo a una stretta prospettiva”. Per questo i personaggi non hanno quasi un nome e i loro passi si allontanano nel desiderio di una memoria che si raggomitola nella solitudine fino a sparire. Sicché “l’orror vacui” è il timore che accompagna il lettore di Baghdad. L’essere separato dalla propria terra, dalla propria gente, dalla propria lingua madre porta a comprendere lucidamente che il mondo tutto è sottoposto a una totalità dispotica che cancella la nostra soggettività e la costringe ad abitare un “non luogo”. Immobilizzato su una punta di vita ubiqua e obliqua, dove le pagine nelle biblioteche si cancellano. Sicché ogni “lettore” ovvero ogni uomo, nel tragitto se non vuole vacillare di fronte alla Storia, deve scrivere, riscrivere, con consapevolezza, sapienza e mistero, la propria pagina prima di mettere il proprio passo.